Questa è la storia della mia mamma, Rosaria.
Mamma ha compiuto 70 anni il 29 marzo 2013 e nonostante la torta bellissima che le avevo fatto preparare per l’occasione non ha potuto godersi il giorno del suo compleanno. Stava male, da un paio di settimane aveva un crescendo di sintomi che lasciavano pensare ad una depressione: mancanza di appetito, fiacchezza, svogliatezza, sonnolenza. Io, mio padre e le mie due sorelle pensavamo davvero che si trattasse di un momento di depressione…nonostante mia madre non avesse mai sofferto prima. Lottava da 15 anni con crisi acute di artrite reumatoide ma aveva una forza innata che le faceva affrontare tutto con energia e positività,
tanto che ci nascondeva il suo dolore fisico, quando non eravamo a casa con lei e magari ci sentivamo per telefono, alla domanda “come stai mamma?” rispondeva “benissimo!” anche se in realtà si trattava di una giornata no. L’improvviso cambiamento di umore al quale stavamo assistendo non si confaceva con il suo essere sempre grintosa. Tutto era iniziato con quella che pensavamo essere un’influenza intestinale, che l’aveva spossata e le aveva lasciato una permanente inappetenza…così pensavamo, dopotutto le analisi del sangue erano perfette.
Il 2 aprile mio padre portò mamma al pronto soccorso, dietro mio suggerimento, dovevamo capire cosa avesse. La mia migliore amica era di turno al PS come medico radiologo…sapevo che era in buone mani.
Eppure non si riuscì a capire dove fosse il problema, nonostante fosse evidente che mamma stesse male, aveva difficoltà perfino a stare in piedi in equilibrio. Passarono due settimane di esami diagnostici all’apparato digerente prima che venisse fatta una risonanza magnetica all’encefalo. E il mostro fu svelato.
Un glioblastoma multiforme di IV grado di 5 cm di diametro nel lobo parietale sinistro. La diagnosi venne comunicata a me e mio padre alle 23 del 16 marzo nello studiolo di un neurochirurgo giovanissimo, completamente privo di tatto e di rudimenti etici che lo disponessero a comunicare una notizia del genere a noi parenti stretti. Fu la notte più lunga della mia vita, capii perfettamente che mia madre non ce l’avrebbe fatta, che ci rimaneva poco tempo da passare con lei. Ho studiato biotecnologie mediche, sono ricercatrice nel campo delle mattie umane, ho lavorato anche in campo oncologico e sapevo perfettamente con cosa
avevamo a che fare. La visione così chiara che avevo del quadro clinico di mia madre mi gettò nella disperazione. Fui cieca, perché in quel momento non vidi la speranza, quel medico non mi dette alcuna speranza. Invece fu un errore!
NON SI DEVE MAI PERDERE LA SPERANZA, NON DOVETE MAI PERMETTERE A NESSUNO DI TOGLIERVI LA SPERANZA!
Il giorno dopo un caro amico di fede mi fu vicino, mi aiutò a sollevarmi e mi aprì gli occhi. Non serve a niente cedere alla disperazione, non aiuta nè noi stessi nè la persona che ha bisogno del nostro aiuto. Ho capito che dovevo fare qualcosa comunque, in barba al medico che mi aveva distrutto, in barba al destino che sapevo comunque di non poter cambiare! Ma questo destino dovevo assolutamente deviarlo, pungolarlo, prenderlo in giro. Ho fatto tanti consulti, tra oncologi e neurochirurgi, senza dire nulla a mamma, lei non doveva conoscere il suo destino, doveva lottare con la forza di chi sa di potercela fare, con la sua forza innata. Alla fine ho trovato una persona meravigliosa, il neurochirurgo Carmine Carapella, dell’ospedale Regina Elena di Roma. Ha accolto me e mio padre con gentilezza, con naturalezza, senza farci le condoglianze prima del previsto, come invece molti medici avevano fatto. Ci ha detto, guardando le immagini della risonanza, “si, si, va bene, la operiamo…la signora ha 70 anni, sarebbe un peccato privarla di un po’ di tempo in più” disse anche, rivolto a mio padre “si goda sua moglie ancora un po’”. Io e papà fummo pervasi da una nuova energia, la speranza di avere del tempo aveva acceso i nostri cuori e si mantenne accesa sempre! Mamma superò egregiamente l’operazione, non passò neanche per la terapia intensiva, e cominciammo un lungo ciclo di chemio e radioterapia, seguito da altri due cicli di chemioterapia da sola a distanza di 2 settimane uno dall’altro. Purtroppo è stato un lento declino, mamma non si è mai ripresa, ma è riuscita a godere ancora tante piccole gioie, anche se non ha potuto mai più camminare bene, e anche la vista le era molto diminuita. A poco a poco le sue funzioni motorie diminuivano, come un burattino cui vengono tagliati i fili. E anche lei cominciava a capire. Abbiamo passato tanto tempo insieme io e lei…tutti i fine settimana, tutti i giorni festivi…tutte le mattine di radioterapia, le notti in ospedale dopo l’operazione.
Abbiamo fatto tesoro del tempo che ci è stato concesso. L’estate è passata tra giorni no e giorni migliori nei quali mio padre è riuscito a portarla fuori, a fare una passeggiata al mare, anche se in sedia a rotelle. Ci sono andata anche io un pomeriggio, lei è riuscita ad alzarsi e sedersi su una panchina ed io mi sono seduta sulla sedia a rotelle, per starle davanti e guardarla meglio in faccia. Aveva un’espressione serena quella volta, e il tramonto alle sue spalle era bellissimo. I nipoti venivano a trovarla finché era lucida e per lei erano motivo di gioia. Ha combattuto tanto, ha mangiato sempre finché ha potuto, perché “doveva rimettersi in forza” le dicevamo e si faceva le sue “passeggiate” sostenuta da papà, dalla camera da letto alla finestra del salotto.
Finché ha avuto la forza ha perfino fatto esercizio sulla cyclette. Poi non è riuscita più a muovere le gambe.
Anche quando stava a letto abbiamo chiacchierato tanto finché lei è stata in grado di ragionare. Le leggevo dei libri che stavo leggendo anche io, nozioni buddiste sulla vita, e a lei piacevano tanto. Si aprivano spunti di discussione inattesi, piacevoli. Sono così felice del tempo passato insieme, io e lei, anche solo a riposare una vicina all’altra sul lettone, mano nella mano. L’abbiamo attraversata insieme questa sofferenza. Poi purtroppo ha cominciato a parlare da sola, ad avere brutti pensieri ed era difficile riuscire ad inserirsi, riuscire a farsi ascoltare, potevo solo accarezzarla, coccolarla. Lei non era mai stata un tipo coccoloso, è sempre stata affettuosa e premurosa, con tutto l’amore che una mamma può dare, sempre presente, sempre attenta a soddisfare i bisogni della famiglia ma non le piacevano le smancerie. Invece durante la malattia le facevano piacere le carezze ed io ho cercato di dargliene a valanghe! Ho sempre cercato di essere sorridente in sua presenza, sempre positiva, giocosa e a volte frivola, volutamente frivola…ho voluto alleggerirle il peso della malattia. Anche quando ha avuto momenti di disperazione, ho cercato di rassicurarla, di non piangere mai davanti a lei. Il sorriso prima di tutto. Non è stato facile, non sempre riuscivo ad essere allegra.
Vedevo mia madre trasformarsi giorno dopo giorno, perdere la sua personalità, il suo aspetto. Lei è sempre stata una donna curata, sempre in ordine, riservata. La malattia l’ha portata a perdere i capelli fin da subito, poi si è gonfiata per via del cortisone e poi ha dovuto abbandonare anche il pudore, perché necessariamente doveva essere aiutata nei gesti quotidiani. Ha sofferto tantissimo nel vedersi privata delle sue capacità lentamente ed inesorabilmente. Io non potevo riversarle anche il mio dolore, ho dovuto essere presente più
che potevo col sorriso, con la freschezza della mia gioventù. Mio padre ha vissuto più di tutti insieme a lei la malattia. Io ho il mio lavoro e il mio piccolo nucleo familiare che mi ha protetta in un certo senso. Non nego che la mia vita si sia stravolta, perché ho abbandonato i miei passatempi, l’attività fisica, anche le amicizie, tutto, tranne il lavoro e mio marito, per starle vicina nel tempo libero. Le mie sorelle vivono lontane, quindi hanno vissuto questa esperienza a piccoli assaggi, più o meno lunghi, anche loro “protette” dalle loro famiglie. Chi ha vissuto 24 ore su 24, giorno dopo giorno tutto quanto insieme a lei è stato mio padre. L’ho visto sostenere mamma con un amore infinito, completamente dedito a lei a soddisfare ogni sua richiesta,
ogni suo gemito. E’ riuscita a tenerla in casa con lui, con tutti i “comfort” ed i sussidi ospedalieri del caso (grazie anche al sostegno di un hospice e del sistema sanitario nazionale, che per quel che riguarda l’assistenza ai malati terminali è davvero eccellente). L’ha coccolata fino all’ultimo respiro come solo l’amore può spingerti a fare. Hanno passato 53 anni insieme e penso che mai come in questi ultimi 8 mesi avessero capito quanto l’uno amasse l’altro.
Abbiamo vissuto le ultime settimane nell’angoscia…mamma era sempre meno cosciente, non riusciva più a deglutire e quindi ad alimentarsi, le vene erano fragili, quindi le flebo erano intradermiche e sapevo che la quantità di farmaco che le arrivava in questa modalità era minima. Cominciavano ad esserci le piaghe per il decubito e non avevamo la minima idea di quando e di come sarebbe arrivata la fine. Anche i medici non potevano fare pronostici: arresto cardiaco? problemi respiratori dovuti al decubito? non si sapeva…abbiamo dovuto aspettare e continuare a starle vicino, ad accudirla, a parlarle, anche senza avere risposta.
Mamma ci ha lasciati il 29 novembre, dopo 8 mesi di calvario. Io ero lì con papà a raccogliere il suo ultimo respiro. E’ andata via alle 10:10, ha semplicemente smesso di respirare dopo una notte di respiri con rantolo, io ero lì da un quarto d’ora, era come se mi avesse aspettata per andar via. Sono contenta di non essere andata a lavoro quella mattina.
Mamma lascia un vuoto tremendamente grande, mi sono resa conto dell’importanza della sua presenza in questi mesi e ancora non mi sembra possibile che sia andata via. Negli ultimi giorni di lucidità (due settimane prima di lasciarci) cercavo di farle coraggio elencandole tutte le cose belle che aveva fatto e che sarebbero andate avanti grazie a lei: noi tre figlie, i figli delle mie sorelle: 3 meravigliosi nipotini che lei si era spupazzata e aveva accudito fino a pochi mesi prima. Mamma è stata grande nel gestire una famiglia con tre figlie, un lavoro, una casa, un marito esigente. Non ci ha fatto mancare nulla mai, davvero. Me ne rendo conto solo ora. Ho capito quanto fosse grande mia madre attraverso questa esperienza e spero di aver
trasmesso a lei questa mia consapevolezza.
A volte ci chiediamo perché certe cose avvengano proprio a noi, perché proprio a lei. Posso dire che è una domanda che non ha senso porsi. Ci saranno dei motivi, ma non sta a noi comprenderli o ricercarli. A noi sta il compito di vivere la sofferenza, di attraversarla pienamente con coraggio, con la determinazione di non lasciarsi mai andare al pessimismo e alla disperazione. Noi figli che tanto abbiamo raccolto nella vita, grazie ai genitori che ci hanno cresciuto, dobbiamo raccogliere tutta la forza che abbiamo per alleviare loro stessi
nel momento della sofferenza. Mi sento di dare un consiglio a chi sta leggendo questa storia: sorridete, sorridete sempre e comunque, in barba alla malattia e al dolore, accompagnate il tempo con la gioia di quello che è stato e di quello che viene giorno per giorno. Godete a piene mani del tempo, non lasciatelo sfuggire via tra lacrime e desolazione ma riempitelo col calore, con l’affetto, con la voglia di vivere, sempre.
Mi piace pensare che mamma risorgerà, che troverà di nuovo la vita e che la sua nuova vita sarà piena di cose meravigliose, perché in questa vita ha lasciato tante cose meravigliose. E mi piace anche pensare che sarà in perfetta salute, perché dopo una tale sofferenza deve per forza stare bene! Qualcuno penserà che sono sciocca, qualcun’altro penserà che invece è un bel modo di vedere la continuità della vita dopo la morte…a voi la scelta del giudizio migliore. Vi auguro di essere coraggiosi qualunque sia la vostra visione della vita.
Siate coraggiosi nell’affrontare la sofferenza, come lo è stata la mia mamma, io, mio padre e le mie sorelle.
Sorridete sempre! Farà bene a voi e a chi ha bisogno del vostro sostegno!
Se qualcuno che sta vivendo la stessa esperienza volesse contattarmi per chiedermi dei consigli pratici o per semplice supporto il mio indirizzo è valentina.fodale@gmail.com. Sarò felice di sostenervi…col sorriso.
Valentina