Mio marito, ora di 48 anni, è ammalato di glioblastoma.
La diagnosi è arrivata, come una doccia più che gelata, il 3 settembre 2011.
eravamo appena tornati da un viaggio itinerante negli Stati uniti, con alcuni amici, durante il quale lui era stato nervoso, intrattabile, ed aveva sempre mal di testa. Negli ultimi giorni si erano aggiunti anche disturbi visivi, nella profondità di campo.
Appena sbarcati dall’aereo, a Milano, ripartiamo per Genova, la città dove abitiamo.
Lui mi dice che non riesce a guidare, e lì comincio a preoccuparmi seriamente.
Guido io, con il panico nel cuore.
Torniamo a Genova, piomba in un sonno soporoso.
Cerco di illudermi, sarà la stanchezza, gli analgesici per il mal di testa, il fuso orario.
La mattina successiva, comunque, andiamo in ospedale.
Un medico gli dice che è solo un attacco di cervicale, e consiglia aulin e muscoril.
Poco convinta, torniamo a casa. la situazione peggiora. Alla notte semidelirio, dolori fortissimi alla testa.
Ambulanza.
Al pronto soccorso sembrano quasi seccati, un banale mal di testa dicono.
Pretendo una visita neurologica.
Un giovane neurologo nota “una sfumatura che non gli piace”, sono le tre di notte di un venerdì maledetto, lo ricovera dice domattina tac urgente.
La Tac è disastrosa, subito risonanza.
Referto terrificante: GBM in zona occipitale dx di circa 6 cm.
Lo portano in neurochirurgia, dove senza mezzi termini mi dicono è gravissimo, può entrare in coma da un momento all’altro, è intrasportabile, bisogna operare in urgenza.
Dopo l’intervento, riuscito “benissimo” secondo il neurochirurgo, lui sta benissimo.
Gli viene detto, su sua espressa richiesta, di cosa si tratta.
Affronta radio e chemio con coraggio e forza, e le tollera pure bene.
Ai primi di novembre, a seguito di un malessere, nuova corsa in ospedale. Tac immediata. Arriva il neurochirurgo e, in piedi in corridoio, davanti a mio marito, dice con faccia da funerale “recidiva precoce, non me l’aspettavo”. timidamente gli chiedo se non può essere il residuo che ha lasciato lui (l’ho letto pochi giorni prima in cartella clinica, finalmente rilasciatami dall’ospedale). Lui lo esclude categoricamente.
Per la prima volta mio marito si mette a piangere, stretto nelle mie braccia in questo corridoio anonimo di ospedale.
Decidiamo di prendere appuntamento dalla prof. Brandes a Bologna, che dice, ma che recidiva, questo è un residuo. Ci solleva immensamente, ma la dottoressa non ci piace, sebbene sappiamo che è una luminare, andiamo a Milano, al Besta, dal prof. Dimeco. anche lui conferma che è un residuo, e pure “fermo”.
Consiglia risonanze ravvicinate, pronto ad intervenire al primo segno di ripresa di malattia.
Riusciamo a fare qualche viaggetto, io sono schiacciata dalla paura, è lui che consola me.
Ad aprile una risonanza, letta a Genova come buona, viene ritenuta invece molto brutta da Dimeco, che programma a breve un secondo intervento. è il 25 maggio 2012. Salva viene operato al Besta da una neurochirurga giovane e sorridente, che sale dopo otto ore di intervento ed è ottimista, anche se è quasi certa che sia rimasto un piccolo residuo. La dottoressa Casali ci appare come un angelo, ce ne innamoriamo tutti all’istante. Questa prima impressione verrà poi confermata, è una donna e un medico eccezionale.
Il postoperatorio è breve e nella norma, 5 giorni e siamo a casa. Salva sta bene, inizia la fotemustina, riusciamo ad andare ad Amsterdam per una settimana, poi a fine agosto tre sedute di cyberknife, sempre al Besta, per “bruciare” il piccolo residuo.
La vita va avanti, discretamente, anche se con una angoscia dentro inesprimibile, e un senso di precarietà ormai ineliminabile.
A Pasqua dell’anno scorso i primi segni del crollo. La risonanza di controllo rivela che il mostro è tornato, e ora è sconfinato nella parte temporale…la dottoressa Casali dice a mio marito con un dolce sorriso purtroppo dobbiamo reintervenire, ma ce la farà.
Lui perde ogni giorno di più forza ed equilibrio, ma non si scoraggia. mi dice lotterò sempre. io vivo ormai con il cuore in gola.
Terzo intervento, 8 aprile 2013.
Viene usato il “5 Ala”, una sostanza che “illumina” le cellule malate e aiuta il chirurgo durante l’intervento.
Esce dalla sala la dottoressa Casali, ci abbraccia forte e dice, sta bene, tra poco lo portiamo su.
Il giorno dopo Salva incredibilmente è in piedi, cammina, seppure sorreggendosi alla sbarra del corridoio.
Tre giorni dopo, il primo crollo, edema esteso. mannitolo in dosi pesanti, sembra migliorare, ma poi compare un idrocefalo. puntura lombare, apparente nuovo miglioramento, liquido spinale che sembra non infetto. Dopo 20 giorni torniamo a casa, ma lui non sta bene, è di nuovo irascibile e instabile. Dopo una settimana, mi sveglio una mattina e trovo il suo cuscino intriso di un liquido trasparente. nuovo ricovero. la ferita non rimargina. rimarrà in ospedale per oltre 40 giorni, lottando con idrocefali, ascessi cerebrali, un pneumotorace per cui si farà una settimana di rianimazione in coma farmacologico. alla fine, sembra di nuovo riprendersi, grazie all’infinita ed indefessa lotta per salvarlo della dottoressa casali, il nostro angelo. Torniamo a Genova,
dove lo ricoverano in un istituto per la riabilitazione. Dopo cinque giorni arrivo al mattino per dargli la colazione e lo trovo in uno stato pietoso, tutto sporco e in stato di incoscienza, con la testa gonfissima.
Ambulanza, di corsa al besta. il ventricolo non funziona. la dottoressa casali lo porta in sala operatoria e gli inserisce un catetere intraperitoneale.
Torniamo a casa a metà luglio, e lui ormai non cammina più, ma sembra stare meglio. riusciamo a partire per una settimana in montagna, ma presto lui che non vedeva l’ora perde interesse, torniamo un giorno prima del previsto.
da allora il peggioramento è stato costante. l’ultima risonanza di ottobre è stata agghiacciante. forte diffusione, anche nel tronco e nel corpo calloso, tendenza all’ernia uncale…
uno sfacelo. interrompiamo immediatamente la chemio con temodal nel frattempo ripresa. basta, non c’è più nulla da fare, è iniziato il più terribile conto alla rovescia che un essere umano possa sopportare.
L’amore per mio marito è infinito, voglio solo che non soffra.
Grazie per avermi ascoltata.
Un abbraccio forte a chi si è trovato o si trova a vivere questo indicibile dramma.
Roberta
avvocatosallustio@libero.it